Secondo album dei Native Soul, “Soul Step” si apre con l’omonimo brano dai toni soft, che richiama all’istante le sonorità della fusion anni ’70: Noah Haidu alle tastiere tiene a lungo gli stessi accordi creando suspense e Marcus McLaurine al basso elettrico ripete una sequenza di note dall’impeto funky, mentre Peter Brainin fraseggia al sax soprano. L’introduzione porta al tema principale intonato invece all’unisono, creando un’atmosfera rilassata.
End of A Love Affair firmato Edward C. Redding, è l’unico standard presente nel Cd. Interpretato in chiave smooth jazz e svestito di tristezza, è aperto dalla sequenza di accordi incalzanti del pianoforte che insieme al sax tenore segue il ritmo spedito dettato dal batterista col ticchettio delle bacchette sui piatti. Si rallenta solo per le digressioni più melodiche di Haidu al piano sostenute da McLaurine al contrabbasso e poi il tema principale viene ripreso e abbandonato nelle improvvisazioni di Haidu che assume un atteggiamento più nervoso, seguito dalle variazioni di Brainin. Sulla chiusura anche Steve Johns alla batteria si riserva il suo spazio. Un brano che dura quasi 8 minuti ma vola via col suo sound brillante e leggero.
Si cambia ancora sfumatura con il blues di Deep Blue una ballad rilassante e romantica caratterizzata dal sound cristallino del piano e del sax che si danno il turno, sostenuti dalla sezione ritmica con un giro di basso corposo e vibrante. Haidu si sdoppia tra gli interventi all’organo elettrico e l’assolo al pianoforte mentre McLaurine arpeggia al basso elettrico come fosse una chitarra; l’arrangiamento si arricchisce e aumenta di volume durante l’improvvisazione del sax e l’Hammond conferisce una certa impronta gospel alla conclusione.
Se è vero che si rimane colpiti già dai primi tre brani per la varietà di atmosfere, soluzioni e arrangiamenti, questa viene riconfermata dalle tonalità sinistre che caratterizzano Inner Search col flauto insinuante di Brainin che sembra ricercare una certa atonalità nei fraseggi, sporcando le note finali e affiancato dal timbro opaco delle tastiere; o da Mingus dove Brainin torna a imbracciare il sax seducendo l’ascoltatore col suo sound limpido e crea una certa suspense insieme allo stride piano di Haidu e ai colpi sul rullante che “rimbombano”; o ancora dal suono fresco di Slipstream col tempo rapido scandito dal contrabbassista.
Ciò non toglie che non si perde mai una certa eleganza e compostezza nelle esecuzioni e una coerenza nell’assemblare le composizioni dei quattro musicisti in unico progetto, di cui davvero possono dirsi tutti egualmente leader.
È ancora il turno di una cover con Castles Made of Sand di Jimi Hendrix caratterizzata dal funky del basso elettrico a cui sono affidate apertura e chiusura speculari. La melodia è affidata al sax trascinante e brillante che nell’improvvisazione diviene più “lamentoso” seguito da un lungo assolo fantasioso delle tastiere che prendono il posto della chitarra della versione originale.
Si rallenta il ritmo con Into the Night in cui Brainin al flauto, prima appassionato nella melodia poi soffiato e opaco nei soli, rende l’atmosfera sognante. Se per via del titolo da Talking Drum ci si potrebbe aspettare una partenza esplosiva della batteria, l’apertura di questo brano soft e sensuale è invece affidata al pianoforte seguito da contrabbasso e batteria per sostenere ancora una volta l’entrata del sax che annuncia la melodia e fa il suo lungo assolo, lasciando in fine spazio al pianoforte con le sue cascate di note.
Lo swing di One For Op trasmette immediatamente relax e serenità, mentre una vena di romanticismo è garantita nel bop trascinante di Gift Within dal timbro opaco del sax accompagnato dalle note dolci delle tastiere.
Peter Brainin: sax tenore e soprano, flauto
Noah Haidu: pianoforte e Fender Rhodes
Marcus McLaurine: basso elettrico e acustico
Steve Johns: batteria
Laura Mancini