“Mind Chaos”, album di debutto per Hokey
Il cantante e compositore Benjamin Grubin ed il bassista Jeremy “Jerm” Reynolds scoprono ai tempi dell’università i loro gusti affini per compositori come Bob Dylan, Talking Heads, Wu Tang Clan e tanti altri, spaziando nei generi hip hop, folk rock, indie pop e dance: è così che nasce un progetto che risente di un’infinità di influenze – io ci sento pure accenni di Queen, Bon Jovi e U2, nonché Santana e Lenny Kravitz nelle chitarre… troppi? – che si realizza nell’album intitolato “Mind Chaos”.
Si comincia col pop-rock di Too fake: il tempo scandito dall’apertura del brano seduce ed incuriosisce all’istante; l’impressione è di ascoltare qualcosa di già sentito eppure, allo stesso tempo, terribilmente nuovo ed attraente. Col ritornello arriva un’esplosione e la voce graffiante e maleducata di Hokey smette di chiacchierare e canta un motivetto di quelli irresistibili.
Completamente differente l’arrangiamento di 3am Spanish, in stile dance funk (con richiami ad Elton John) ma la struttura del brano è simile: il cantante parte con una sorta di rap e poi spacca con il ritornello. Learn To Lose è una canzone ritmata, con un’anima “groove” ed Hokey stavolta canta fin dalle prime note; c’è molta melodia e la chitarra elettrica interviene con efficacia.
La regola dell’album sembra non aprire nessun brano in maniera simile ad un altro: Work è cantata su tonalità più alte, ha un sound malinconico e rabbioso senza però risultare triste. Song away è volutamente orecchiabile e leggera e dimostra quanto la voce del cantante sia mutevole ed imprevedibile. Curse this city è un pezzo frammentario e coinvolge meno degli altri, Wanna be black col suo rock movimentato contiene una vena drammatica e sentimentale. Put the game down prosegue sulla stessa scia, con un altro ritornello cantabile e commerciale. Everyone’s the same age è più lenta e dolce: la voce di Hokey è accompagnata dal suono della chitarra, in un momento di relax. Four holy photos ha un’impronta country; nelle strofe il cantante riprende a “chiacchierare” interrotto dall’armonica a bocca. Si conclude con Preacher che prende il via con gli accordi di un organo sulla falsariga della serietà, abbandonata immediatamente per un rock scatenato.
Artista eclettico, Hokey risulta difficile da definire; certo è che “Mind chaos” si prospetta un album vendibile e in grado di attirare l’attenzione di molti.
Laura Mancini