Intervista ai No One No More: il nostro album di esordio
“No One No More” è il titolo dell’album di esordio dell’omonimo complesso musicale composto da Tommaso Uncini (sax), Marco Punzi (chitarra), Davide Cason (contrabbasso) e Patrizio Balzarini (batteria). «Originariamente il nome della band era “No One Tribute” – ci racconta Cason – nato proprio con l’intento di indicare la scelta artistica netta di eseguire solo brani originali composti dai membri, non facendo tributo a nessuno se non al nostro personale estro. Successivamente abbiamo adottato “No One No More” per questioni di musicalità: suona meglio ed è più di impatto». «Ci siamo accorti che nel panorama italiano c’erano molte band che rendevano omaggio ad artisti del passato – aggiunge Marco Punzi – e avendo già suonato questo tipo di repertori, abbiamo deciso di non essere il tributo di nessun artista in particolare. Una volta registrato il primo disco però ci sembrava che “No One Tribute” suonasse come il tributo alla band No One! Quindi abbiamo cambiato il nome del collettivo».
Le otto tracce che compongono l’album sono: Account for this, Calco, Il confine, Petrochemical bisquit, D’arroganza, Singularity, Repetitat iuvant e Magic fall. L’ispirazione viene da epoche e stili eterogenei del jazz e sposa tanto il gusto di chi è legato alla tradizione tanto quello di chi apprezza la modernità. Si tratta di un lavoro vivace ed energico che tiene sveglio l’ascoltatore col suo groove, è in grado di stupire con melodie accattivanti ed esplorazioni sonore e armonie tipiche dei grandi dischi della tradizione del genere.
Una volta che il brano gira all’interno del gruppo, l’autore deve lasciarlo andare e togliere il suo ego, deve lasciarlo trasformare dalla visione del gruppo, altrimenti non diventerà mai veramente parte del suono della band.
Alcuni titoli incuriosiscono in modo particolare: «D’Arroganza è stato il secondo brano che ho scritto in assoluto, circa 7 anni fa – svela Balzarini –. Pensavo, e penso ancora, che per un batterista scrivere musica sia un atto particolare e che ci voglia un minimo di arroganza per proporre un proprio brano. Più in generale, proporre una propria idea all’interno di un collettivo prevede sempre un minimo di arroganza o di protagonismo, necessario a far uscire la propria idea, che però non vuol dire imporla. Una volta che il brano gira all’interno del gruppo, l’autore deve lasciarlo andare e togliere il suo ego, deve lasciarlo trasformare dalla visione del gruppo, altrimenti non diventerà mai veramente parte del suono della band». «Repetita Iuvant è una mia composizione ispirata a una frase che mio padre ripeteva spesso quando ero piccolo – confessa Punzi – ovvero che è meglio ripetere la stessa cosa più volte in modo che attecchisca. Infatti la prima parte del brano è composta da una linea melodica che cambia nel corso del pezzo solo nell’aspetto ritmico, ma rimane tutto sommato identica come numero di note».
«Nella nostra band vige veramente la democrazia artistica – prosegue il contrabbassista – e ogni membro è autore di due composizioni del disco. Di conseguenza ognuno ha ricercato cose diverse di volta in volta nel momento della composizione. La ricerca che ha veramente contraddistinto il disco è la piena espressione individuale. Questa poi, per alchimia, si è amalgamata in un sound proprio della band e ad oggi è questo sound che perseguiamo». «Essendo il nostro primo lavoro come collettivo – commenta Punzi – abbiamo deciso di procedere in questo modo per far uscire le nostre caratteristiche personali come compositori. È stato molto interessante l’apporto di ogni singolo musicista nella musica degli altri durante le prove che hanno preceduto la registrazione dell’album. Avendo alcuni riferimenti artistici comuni, il sound del disco seppur vario risulta coeso fino all’ultima traccia».
Petrochemical Biscuit è diventato il brano simbolo vostro gruppo: «È nato di getto, in modo molto istintivo – ci dice Uncini – spinto da una mia sensazione personale: una mattina mi sono svegliato turbato e ho sentito impellente l’esigenza di esprimere questo in musica. Il brano nasce da una riflessione sulle problematiche ambientali dovute alle attività umane, ciò viene reso tramite l’utilizzo di armonie aumentate e sonorità alquanto acide. Questa composizione tuttavia non vuole assolutamente essere un monito o veicolare catastrofismi di vario genere, tutt’altro: attraverso l’utilizzo di una evidente dinamicità ritmica e una forma inconsueta, si vuole far emergere l’entusiasmo e la predisposizione a un qualche tipo di mutamento, che in molti sentiamo urgente e a cui vogliamo prendere parte in modo attivo. Quindi potremmo consideralo un auspicio verso una risoluzione delle problematiche ambientali tramite nuove strategie industriali indipendenti dai carbon-fossili». «Petrochemical – commenta Cason – è un brano d’impatto e racchiude, forse più di altri, una delle chiavi della filosofia tacita della band: musica ricercata (ovvero “colta”, per usare un termine abusato) ma con un groove efficace, che sembra prendere per mano l’ascoltatore e accompagnarlo, mostrandogli altri aspetti, siano essi tempi dispari, armonie ardite, temi atonali o altro».
I riferimenti comuni sono molteplici. «Come base abbiamo tutti degli studi jazzistici– spiega Tommaso Uncini – che ci hanno permesso di conoscere e interpretare molteplici stili della musica afroamericana: dallo swing al be-bop, dal jazz modale al free-jazz. Per questo lavoro le influenze più importanti appartengono al jazz moderno (dagli anni ‘80 in poi) e vengono da Wayne Shorter, Kenny Wheeler, Dave Holland Quintet, Steve Coleman Five Elements, John Zorn, Jack DeJohnette, Kenny Garrett e Miles Davis post Betches Brew». «Ognuno di noi ha lavorato con gli altri in altri progetti, ci conoscevamo da diversi anni – aggiunge Patrizio Balzarini – ad esempio io e Marco abbiamo una passione comune per Thelonious Monk e Davide ha portato un brano, Account for This, che ha proprio questo autore come ispirazione. È stato molto naturale lavorarci insieme. Qua e là emergono degli ascolti comuni, non necessariamente tra tutti i membri del gruppo. Spesso è altrettanto interessante capire da dove uno di noi sia partito con un’idea per scoprire nuovi orizzonti musicali, e non solo».
Mentre questo album rappresenta l’esordio anche con l’etichetta IpogeoRecords, il gruppo pensa già al futuro. «Siamo stati accolti molto bene dalla IpogeoRecords, abbiamo sentito fin dall’inizio un sincero interesse per il nostro progetto e la voglia di collaborare per far funzionare al meglio tutti i vari meccanismi che stanno dietro alla pubblicazione di un disco ed alla sua distribuzione – afferma il sassofonista –. Abbiamo riconosciuto da parte della Ipogeo un certa solidarietà e comprensione di chi conosce bene il mondo della musica e le difficoltà a cui si può andar incontro intraprendendo questa attività artistica nel nostro Paese». «Dobbiamo ringraziare Filippo Cosentino – conclude il batterista – per aver creduto nel nostro progetto; dopo anni di live è stato naturale voler fissare una parte del lavoro passato, abbiamo voluto fare una sintesi di quello che è il nostro sentire comune. Abbiamo già il materiale per future registrazioni e ci sono ulteriori sfaccettature del nostro suono che potranno emergere».
Laura Mancini